Roma – Ciack si scrive – 18/08/2006
Le elezioni erano ormai vicine. Dalle bocche dell’umanità, attraverso domande confuse sul da farsi, le parole volavano sconnesse, sia nei toni che nelle idee. Anche le parti del corpo, mentre la gente parlava, sfrecciavano con foga verso qualcosa che stava sospeso a mezz’aria sulla testa. Era una sorta di corpo spezzato che ognuno cercava di tratteggiare su linee traballanti tra l’interesse personale e un’immagine intatta di fronte a un debole criterio di giustizia condivisa. “Se diamo il voto a…finisce che…”, “se votiamo l’altro succede che…”, con una manciata di dubbi su qualunque previsione.
La data della chiamata alle urne si avvicinava e dall’altra parte della barricata gli operatori politici, di destra, di sinistra, di centro, di centrodestra e di centrosinistra, divisi a loro volta in vari rivoli, – mammamia quanta roba con cui cercare il giusto intendimento – entravano negli appartamenti per un porta a porta persuasivo, sulla maggiore validità del loro programma.
Una sera, solo per caso, scambiandolo per un ricevimento come tutti gli altri, lei si trovò tra quelle partiture tipiche dei comizi da salotto. Il giovane, preposto alla campagna elettorale, sosteneva un candidato di destra, ma in fondo, in quel momento, cercava di sostenere se stesso, non per candidarsi anche lui, ma nello sforzo di scegliere un linguaggio ad effetto. Eppure, da sotto la patina lustra della sua immagine, si avvertiva un certo stridore, una specie di fantasma sibilante che sembrava provenire da un resto di coscienza indisciplinato di colui che parlava, un piccolo folletto che aveva bene oleato il trillare dei suoi campanelli contro le regole della comunicazione vigente, tintinnando, all’insaputa del suo banditore, tra una parola e l’altra. Il tutto si concluse con un fievole battimano da protocollo e il giovane stesso ebbe la sensazione che qualcosa non aveva funzionato. Al rientro, ogni angolo della città gli sembrò nelle mani di un’incuria che non aveva mai notato.Davanti a tanta decadenza, il programma che aveva illustrato con efficacia mi sembrò roboante e vacuo. Ricordava ogni risposta data con un’accuratezza da abile comunicatore e allora si chiese perché sentiva proprio alla bocca dello stomaco una specie di pugno che non sfrecciava in alto, come quei manifesti che raffiguravano con tanto slancio lo slogan della “Rosa nel Pugno”; poi, si soffermò sui simboli di tutti gli altri e notò che c’era proprio quella stessa ostentazione del discorso che aveva appena sentito. Ora, dentro la sua mente, quel folletto che aveva tintinnato durante la sua dimostrazione suonava a gran cassa, comodo e padrone assoluto della situazione: ora, solo ora, sentiva di aver finalmente, di diritto, conquistato il suo posto.