Era riuscita in pochi minuti a trasformare i 20 mq della camera da letto in uno dei templi più significativi della sua inquietudine, ma tutto questo sarebbe stato leggibile solo da un osservatore esperto davanti a una psiche in subbuglio. Nel suo caso non aveva nessuno, a portata di mano, che la inducesse a farla riflettere contro quello specchio di se stessa e ora sguazzava tra colori e tipi di stoffe che, toccati dalle sue dita irrequiete, sembravano elettrizzarsi e uscire dalla trama del proprio tessuto. In fondo, stava solo preparando una valigia per i suoi soliti viaggi di lavoro.
Questa routine era diventata per lei un normale riflesso condizionato e tale restava visto che non c’era chi potesse scrutarla, oltrepassando la zona periferica del suo essere. Le braccia continuavano ad afferrare oggetti dall’armadio a gran velocità e lo sguardo a dare rapide occhiate a tutto, sbaragliando nella mente pensieri altrettanto agitati e confusi, che saltavano a pié pari quelle forme, ormai ingigantite, dei suoi reali e ingolfati meccanismi interiori.
La valigia era già stracolma di tutto, con una cerniera ai limiti della sopportazione e dentro vi era anche tutta la sua inconsapevolezza come silenziatore delle proprie paure. Vi aveva messo ogni ben di Dio, o meglio, ogni bene del sistema in cui viveva, che, con spot pubblicitari, ti sbatteva in faccia il volto di una donna stracciato da crepe per inesorabile perdita di elasticità e allora… quel volto diventava il suo e giù in valigia crema per la notte, per il giorno, maschera da applicare prima dell’uscita serale, e, per questa, vestito di seta o di chiffon o di maglia o di lino o nero o rosso o bianco o marrone o… o… Al check-in quella valigia non l’avrebbero fatta passare di certo per un bagaglio a mano. Ah, questo benedetto sistema che ti diceva come non ingrassare, non invecchiare, non ammalarsi, non annoiarsi, essere in tiro con la vita! Lei riusciva a rispondere solo trasformando le sue braccia in argani inossidabili per trainare quel malloppo di cose per assecondare i suoi bisogni fisici, che non erano altro che eruzioni di sconnessioni psichiche.
La sua vita scorreva sbattuta di qua e di là, mentre il nodo centrale di tutto il suo essere si torceva con nuovo vigore, senza che nessuna reale soluzione le venisse in aiuto dal sistema al quale si era uniformata. Qualsiasi imperfezione del suo corpo veniva spedita al cervello che archiviava file pieni di una troppo accelerata biografia di se stessa. La scena della sua camera da letto, prima di partire, si ripeteva ogni settimana, finché un giorno non le si parò davanti l’unico specchio che non aveva mai fatto carte con gli spot pubblicitari: quello dall’anima… e allora, scrutando nei cristalli di due lacrime spesse ella intravide infine la sua reale palude interiore.