Era sempre la notte a ridarle la sua anima perduta, a farle riaffiorare la fisionomia di se stessa, a sanare le lacerazioni del giorno. In qualsiasi stagione e ovunque si trovasse, lei sentiva, a fior di pelle e di cervello, quel passaggio soffice, ma deciso, attraverso le ore del tramonto, discreto e lento, di quelli di cui gli esseri umani non conoscono più la trama né il tempo…
Era stupita che, nonostante il corpo scuro, disegnato da ombre di ogni forma, ella provasse, al suo cospetto, una forza rinnovata, con la certezza che, in quelle ore, il proprio corpo si riempisse di luce. Il pensiero si stendeva sulle cose con facilità e limpidezza… E allora, quelle nere scie di sofferenza che, per qualche tempo, si erano depositate dentro di lei, svanivano, indicando, fulminee, la strada da imboccare per spedirle al macero. La notte, un velo blu sulle immagini di una realtà stanca e sfibrata dal giorno… la notte, la grande isola oscura, dove lasciare scivolare l’ultimo assordante ronzìo intorno alle tempie… la notte, che parlava col suo vivo silenzio, materializzando il cuscino dei sogni… Di notte, campagna o città, mare o monti, impavida regina dei luoghi del mondo e di quelli dell’anima, ella dondolava il suo io in una culla di pace. Echi di suoni sbiaditi da posti lontani giungevano a battere alla porta della sua immaginazione, per fare entrare storie create da un guizzo del cervello: in lei si apriva il grande varco per comunicare con gli esseri umani, penetrando urla udite davanti alla sofferenza del mondo o risa soffiate dallo spazio, davanti a un gioco, a una festa, a una pausa al dolore. Il sipario si alzava e tutta se stessa irrompeva nell’aria, sospendendola nel sentimento di sé, tirandola in alto verso il cielo, da dove, tra una stella e un’altra, si guardava nella sua nudità interiore. I profumi d’estate erano propaggini naturali del suo sentirsi dentro l’universo, la caducità dell’autunno l’ammonimento alla sua presunzione di donna forte e avvilita dalla scarna realtà. Quanto vigore scendeva sul mondo da quella mano trascendente che, tra le rozze volontà dell’uomo, riusciva ancora a lasciare imperturbato il tragitto arcano degli astri, senza trasformarli in sospensioni virtuali! Quella danza di luci notturne era il sano ricordo della Genesi, il libro dettato dalla bocca primordiale che aveva rischiato se stessa abbandonandosi alla sua geniale Invenzione. Solo così, solo dentro il grande magma oscuro, ella ritrovava quel liquido nutritivo per camminare, il giorno dopo, nella realtà trafitta dalle mistificazioni umane: corse veloci verso niente, parole ofane figlie di un inesistente tutto… e invece, a sera, solo a sera, il silenzio e infine la luce… sulle città, sulle campagne, sui villaggi, sull’Io…