Roma – Ciack si scrive – 31/03/2006
Anche oggi, dopo aver visto Beautiful, era rimasta con la mente in un vuoto oscuro, perché l’ultima scena era stata tranciata nel bel mezzo di una rivelazione. Questo distacco fulmineo le aveva lasciato il segno di una delusione di cui non conosceva bene la trama e, ora, già desiderava la puntata di domani. Tutto quel benessere e le tresche dei personaggi l’avevano eccitata, proiettandola verso una specie di potere che lei avrebbe dovuto imparare a conquistare: quel mondo di paillettes aveva preso possesso della parte più insicura del suo carattere, adulando quelle potenzialità che desiderava avere, a ogni costo, dentro di sé.
Si alzò, aprì l’armadio e gettò alla rinfusa i vestiti sul letto. Con lo sguardo bramoso e sospeso sul futuro, si osservò allo specchio, prima con un vestito poi con un altro: infine, ne scelse uno vintage, secondo la moda del momento e solo quando si vide, ripresa dal video della sua voglia telecomandata, rassomigliare a uno dei personaggi della sua soap opera preferita, ammiccando a se stessa, chiuse la porta di casa per andare a lavorare nel prestigioso studio legale dove lavorava come praticante.
Salutò in fretta ed entrò nella stanza che condivideva con Elena. La spia del telefono interno si accese: l’avvocato la chiamava dalla stanza accanto. “Buonasera, Simona”. “Buonasera, Avvocato”. “Domani c’è l’udienza contro l’assicurazione, ci vediamo alle 11 davanti al Tribunale”. “D’accordo”. Ritornò nella stanza: sulla scrivania della collega c’era una pila di pratiche tra cui quella di una causa importante. Si sedette, ma poi, come folgorata da un’idea, balzò in piedi e cominciò a cercare la pratica sulla scrivania di Elena. La trovò, la prese, stringendola a sé, mentre il suo cervello si riempiva di una forza mai provata prima, aprì il cassetto e la mise sotto tre fascicoli. Elena rientrò. Sorridendo, Simona le disse: “Quanto lavoro hai da spulciare, poveretta!”, “Già, ma ancora non so di che si tratta”, ella rispose. Era proprio quello che Simona voleva sapere, in modo che avrebbe avuto la scusa pronta: quella pratica l’aveva trovata sulla propria scrivania. Ora, come ogni giorno, aspettava la puntata di Beautiful. Era esaltata, finalmente libera da quel senso di emarginazione davanti ai suoi miti televisivi, perché anche lei era stata capace di operare , senza scrupoli, per una giusta causa: in fondo Elena, in quello studio era arrivata dopo di lei, cosicché ogni nefandezza si rivestiva di una sorta di giustificazione protettiva e il ribaltamento sulla soap opera era completato. Mentre i suoi occhi vagavano da una scena all’altra, senza perdere nessun dettaglio dei suoi modelli definitivi, il suo io si rinvigoriva: ora, infine, poteva cominciare ad annusare quello stesso benessere come parte della “sua”, seppur fotocopiata, esistenza.